Mentre i media ci informano assiduamente
sui colpi di scena del teatrino politico nazionale, le trattative proseguono:
istituzioni sovranazionali e grande business stanno negoziando l'accordo
transatlantico per il commercio e l'investimento (TTIP) tra Unione Europea ed
USA, che dovrebbe essere concluso per la fine del 2014. Corporate Europe
Observatory pubblica un
dettagliato report sulle conseguenze
economiche, sociali e ambientali di questo nuovo patto. Con ogni probabilità
s'innescherà un'altra corsa al ribasso sulle condizioni del lavoro e gli
standard ambientali. A riprova di un semplice fatto: quando si lascia decidere
al potere, il potere decide per se stesso.
Abbiamo tradotto la prima parte del report.
Abbiamo tradotto la prima parte del report.
Introduzione
Il commercio transatlantico & l’utopia
delle multinazionali
"Il gruppo più impaziente è il
settore imprenditoriale. Siamo franchi su questo. Lo sapete, ovvio che intendo
che la cosa è guidata politicamente, è guidata strategicamente. La questione di
fondo è che il business vuole che questo avvenga, il business da entrambi i
lati dell'Atlantico"
Andras Simonyi, della Johns Hopkins University 2
Il 13 febbraio 2013 il presidente degli
Stati Uniti, Barack Obama, e i leader dell’Unione Europea si sono impegnati ad
avviare negoziati per un accordo transatlantico per il commercio e
l’investimento (TTIP), noto anche come TAFTA (Accordo transatlantico per il
libero commercio). Un primo round di negoziati si è tenuto a porte chiuse nel
luglio 2013 ed entrambe le parti mirano a concludere le trattative entro la
fine del 2014. Come con altri accordi commerciali, il TTIP viene venduto per i
presunti benefici che dovrebbe portare alla gente, ad esempio prezzi più bassi
grazie ad una maggiore competizione tra le aziende dei due lati dell’Atlantico
e la creazione di nuovi posti di lavoro. In realtà, però, il patto
transatlantico pone numerose e gravi minacce per la gente, l’ambiente e
l’economia; esso mira a concentrare ancora più potere economico e politico
nelle mani di una ristretta élite atlantica.
Qualcosa di più che rimuovere i dazi
Si va ben oltre il classico approccio che
consiste nella sola rimozione dei dazi e nell’apertura dei mercati agli
investitori esteri; i negoziati commerciali si stanno concentrando sulla
rimozione delle regolamentazioni sociali e ambientali che proteggono i
consumatori, i lavoratori e l’ambiente, e che attualmente sono d’intralcio ai
profitti delle grandi imprese (vedi la tabella sotto).
Come spiega la Commissione Europea:
Come spiega la Commissione Europea:
“la più grossa barriera al commercio non
è il dazio pagato alle frontiere, ma sono le cosiddette ‘barriere non
tariffarie’, quali, per fare un esempio, i differenti standard di sicurezza o
sull'ambiente per le automobili. […] L’obiettivo di questo patto commerciale è
quello di ridurre i costi inutili ed i ritardi per le compagnie…” 3
A tale scopo, l’UE e gli USA mirano ad
“armonizzare” e “riconoscere reciprocamente” i loro rispettivi approcci
normativi al fine di creare la più grande zona di libero commercio del mondo.
In pratica, però, “l’armonizzazione normativa” e il “reciproco riconoscimento”
degli standard dev'essere inteso come un eufemismo, che in realtà significa una
grave indietreggiamento delle norme sociali e ambientali in favore
dell’interesse delle grandi imprese di poter muovere liberamente capitali,
merci e lavoro in giro per il globo. Per esempio, le aziende statunitensi
vorrebbero vedere l’Europa abbassare i suoi standard sul lavoro (si veda il
capitolo 1) e farla finita col suo “principio di precauzione” – il cardine
delle politiche di tutela dei consumatori e dell'ambiente su cui è basato
il Regolamento REACH sulle sostanze chimiche e le sue severe norme
sulla sicurezza alimentare e sulle etichette degli alimenti (si vedano i
capitoli 2 e 3).
Le aziende europee, invece, puntano contro
le più severe norme degli USA sui medicinali, i dispositivi medici e i test (si
veda il capitolo 5), così come contro il loro più stretto regime di
regolamentazione finanziaria (si veda il capitolo 6). Attraverso il TTIP, la UE
e gli USA sperano anche di concedere alle aziende nuovo potere politico con cui
contrapporsi ad una vasta gamma di regolamentazioni, sia interne sia estere, e
questo porterà inevitabilmente ad una erosione delle politiche di protezione
dell’interesse pubblico (si veda il capitolo 7). I negoziati potrebbero anche
minacciare le libertà di Internet attraverso l’accordo sui nuovi Diritti sulla
Proprietà Intellettuale, che sono simili a quelli proposti dall’ACTA –
l’accordo commerciale anti-contraffazione che era stato respinto con successo
dal Parlamento Europeo a seguito di una massiccia opposizione pubblica (si veda
il capitolo 4) – questo avrebbe importanti conseguenze anche per agricoltori,
consumatori e pazienti. Al tempo stesso, il patto UE-USA deve essere visto come
parte di una più ampia strategia dell’UE e degli USA per preservare il ruolo
della leadership atlantica negli affari globali, in un tempo in cui la loro
egemonia economica è minacciata dall’ascesa di molte economie emergenti – come
Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa (si veda il capitolo 8 di questo
report).
Un programma transatlantico per le grandi
aziende
Per più di due decenni, le grandi aziende
europee e statunitensi hanno fatto pressioni per una zona di libero scambio
transatlantico attraverso organizzazioni come il Trans-Atlantic Business
Dialogue (TABD), ora ridenominato Trans-Atlantic Business Council (TBC).5 In vista dei negoziati per il TTIP, molte
associazioni industriali hanno adottato prese di posizione comuni che indicano
una più stretta collaborazione transatlantica. Questa è una strategia esplicita
per parlare ai negoziatori dell’UE e degli USA con una sola voce ed un insieme
ben definito di interessi comuni.6 In una nota interna che è trapelata, la Commissione Europea ha già
dichiarato che intende agire nell’interesse dell’industria, concentrandosi
particolarmente sui “settori che hanno espresso prese di posizione comuni
(automobilistico, chimico, farmaceutico, della salute ed informatico)” – perché
“possiamo contare sulla pressione congiunta dell’industria”7. Finora, la Commissione ha tenuto più di
100 riunioni riservate con i rappresentati delle lobby industriali, a porte
chiuse, lasciando la società civile largamente all'oscuro dei fatti. 8
Opporsi all’utopia delle multinazionali
Da entrambi i lati dell’Atlantico, le
associazioni dei consumatori, gli ambientalisti, gli attivisti della rete, i
sindacati e gli agricoltori si stanno già preparando per opporsi a questo
programma delle multinazionali.
Non solo essi hanno sollevato
preoccupazioni riguardo gli accordi commerciali tra UE ed USA, ma hanno anche
sottolineato la necessità di un serio dibattito pubblico su come riformare il
commercio internazionale e le sue regole più in generale – a cui speriamo che
il presente report possa dare un contributo (si veda il capitolo 8).
Ispirandoci al titolo del romanzo distopico
di Aldus Huxley, “The Brave New World”, questo report ambisce ad
impostare una prima vasta analisi dei rischi ambientali e socioeconomici a cui
potremmo trovarci di fronte se i negoziati commerciali attualmente in corso
dovessero riuscire a realizzare quell’"utopia delle multinazionali"
che è il cuore del TTIP. Speriamo che le evidenze fornite qui possano incitare
gli attivisti, così come i cittadini e i loro rappresentanti politici, a
mobilitarsi contro il TTIP, con l’obiettivo di fermare un progetto dell’élite
che con ogni probabilità peggiorerebbe le condizioni di vita di milioni di
persone già gravemente colpite dalla crisi finanziaria e dalle paralizzanti
conseguenze dell’austerità europea.
Capitolo 1
Divisi, indifesi e col divieto di sciopero
La riforma dei diritti del lavoro e delle
politiche sociali nell’interesse delle aziende multinazionali
Si è versato parecchio inchiostro sui media
mainstream per elogiare il ruolo che un accordo di libero scambio tra UE ed USA
potrebbe avere nel portare le due economie fuori dalla crisi in cui sono
tuttora intrappolate. Nel suo Discorso alla Nazione del 13 febbraio 2013, il
presidente Barack Obama ha annunciato che “avvieremo trattative per un vasto
accordo transatlantico per il commercio e l’investimento (Transatlantic Trade
and Investment Partnership; TTIP) con l’Unione Europea – perché il commercio
libero ed equo tra i due lati dell’Atlantico favorisce milioni di posti di
lavoro ben remunerati in America” – un’affermazione a cui ha fatto eco il
commissario UE per il commercio, Karel De Gucht:
“… per l’Europa, l’effetto sul reddito
dell'accordo che stiamo cercando di raggiungere dovrebbe essere tra lo
0,5% e l’1% del PIL, il che significa centinaia di migliaia di posti di lavoro…
Questo accordo porta ai nostri produttori nuovi clienti, minori costi dei
componenti e una maggiore competizione per rendere tutte le nostre
imprese più efficienti.”9
Tuttavia, se si guardano le cifre più da
vicino, queste suggeriscono che le stime di ricchezza e creazione di posti di
lavoro sono state con ogni probabilità grossolanamente esagerate. Di
conseguenza le promesse che il TTIP crei posti di lavoro e porti al
miglioramento del welfare molto probabilmente non si realizzeranno mai, mentre
nel processo di smantellamento delle “barriere" al commercio
transatlantico, i diritti del lavoro e le garanzie sociali potrebbero invece
finire seriamente erosi.
Le pretese esagerate sulla creazione di
lavoro e ricchezza
Sulla base dei risultati prodotti dai
“think tank” finanziati dalle multinazionali, la Commissione Europea ha
affermato che il TTIP potrebbe creare due milioni di posti di lavoro ed
incentivare il commercio tra UE ed USA per oltre 120 miliardi di dollari nel
corso di cinque anni.10 Con
il finanziamento di alcune delle più grandi società finanziarie globali, che
hanno tutto da guadagnare dal TTIP – incluse Deutsche Bank, BNP Paribas,
Citigroup, Santander, Barclays, JP Morgan – il Centro per la Ricerca sulle
Politiche Economiche, con sede a Londra, ha affermato che un patto
transatlantico per il commercio porterebbe guadagni all’economia dell’UE per
119 miliardi di euro l’anno, il che si tradurrebbe in una media di 545 euro
all’anno di reddito in più a disposizione per ogni famiglia di quattro persone.11
Tuttavia, il prof. Clive George, un
economista senior dell’Università di Manchester che fino a poco tempo fa
conduceva parecchie delle valutazioni d’impatto dei negoziati commerciali per
conto della Commissione Europea, ha avvertito che tali affermazioni devono
essere prese con cautela, perché “i modelli economici su cui tali stime si
basano … sono stati descritti da alcuni dei loro stessi principali ideatori come
‘altamente speculativi’”.12 Il
prof. George fa notare che molte delle affermazioni entusiastiche sui benefici
economici del TTIP si basano su un aumento atteso della crescita economica
dello 0,5%, che persino la stessa Commissione Europea definisce “ottimistico”.
Lo scenario più probabile stima invece una aumento del PIL di poco più dello
0,1% (cioè una aumento della crescita economica di poco più dello 0,01% ogni
anno per dieci anni), il che, come dice il prof. George, “è insignificante, e
[la Commissione Europea] lo sa.”13
Con simili toni l’Unità di Valutazione
d’Impatto facente capo al Parlamento Europeo ha criticato la metodologia dello
studio della Commissione per la sua mancanza di “un'informazione
sufficientemente di qualità”, che sarebbe necessaria al lettore per capire come
i risultati sono stati ottenuti, per “la mancanza di un’adeguata valutazione
dei rischi e degli svantaggi” e per “non aver controllato la credibilità dei
modelli, che si basano su un gran numero di ipotesi idilliache”.14
Come aveva detto il giornalista Jens
Berger, “i ‘crimini’ commessi sotto l’etichetta della ‘econometria’ hanno tanto
a che vedere con la scienza quanto una previsione meteorologica ha a che vedere
con le frattaglie di pollo al cloro. Modelli matematici sempre più complicati
sostituiscono la semplice logica e rimpiazzano i risultati scientifici, ma non
sono né logici né scientifici. Con l’istituto ‘giusto’ a disposizione, i
risultati desiderati possono sempre essere prodotti attraverso questi modelli.”15
Piuttosto, argomenta il prof. George, se uno vuole prevedere i possibili
impatti dei nuovi accordi per il commercio, farebbe meglio a guardare
all’esperienza avuta con i passati accordi.16 E tuttavia, se dovessimo prendere il Trattato per il libero commercio del
Nord America (NAFTA) come indicazione di ciò che porterà il TTIP , non possiamo
aspettarci né ricchezza né creazione di lavoro (vedi il Box 1 sottostante).
Box
1
Il
NAFTA (Trattato per il Libero Commercio del Nord America) costò quasi un
milione di posti di lavoro negli Stati Uniti.
Quando
il NAFTA entrò in vigore nel 1993, il presidente USA Clinton promise la
creazione di milioni di nuovi posti di lavoro come conseguenza dell’aumentato
commercio con Canada e Messico. La Camera di Commercio USA vanta che il NAFTA
ha infatti aumentato il flusso commerciale all’interno della regione di tre
volte e mezza (per un valore di 1200 miliardi di dollari) ma riconosce che in
effetti la promessa di creazione di posti di lavoro non si è affatto
materializzata.17 Secondo
un’analisi dell’Istituto per le Politiche Economiche, il numero di posti di
lavoro creati dall’aumento delle esportazioni in relazione al numero di posti
di lavoro persi per l’aumento delle importazioni dovuto al NAFTA risulta in una
perdita netta di quasi un milione di posti di lavoro (879.280 per la
precisione) – e non nella creazione di 20 milioni di posti di lavoro come
originariamente promesso.18
E
tutto ciò senza parlare della pressione al ribasso sui salari dei lavoratori
USA che il NAFTA ha generato, la quale ha contribuito alla loro stagnazione
relativa che dura dalla metà degli anni ’70. Secondo il Centro per la Ricerca
sulla Globalizzazione, il NAFTA ha permesso alle corporazioni USA di spostare i
loro fondi d’investimento più facilmente attraverso la frontiera messicana,
così da installare nuovi impianti di produzione in Messico (convenienti per via
dei più bassi livelli salariali del Messico e di standard lavorativi ed
ambientali più bassi), e di chiudere i relativi impianti di produzione negli
USA.19
Tutto ciò ha creato enormi profitti per l’élite economica, ma ha portato ad un
deterioramento delle condizioni dei lavoratori da entrambi i lati della
frontiera. Di conseguenza i lavoratori USA sono stati costretti a scegliere tra
riduzione del salario o licenziamento, mentre i lavoratori messicani hanno
perso i loro mestieri tradizionali e sono stati costretti a lavorare in
condizioni di quasi schiavitù negli impianti costruiti dalle aziende
statunitensi in Messico.20
Secondo Jeff Faux, presidente dell’Istituto per le Politiche Economiche a
Washington, “l’esperienza del NAFTA suggerisce che qualsiasi ampio accordo di
libero scambio … che non dia tanta priorità allo sviluppo sociale e delle
condizioni dei lavoratori quanta ne dà alla protezione degli investitori e
della finanza, non è sostenibile.”21
I disoccupati lasciati privi di tutele
A dispetto delle sue ottimistiche
metodologie di creazione di modelli, la Valutazione d’impatto fatta dalla
Commissione Europea per il TTIP riconosce che, come risultato dell’aumento del
commercio con gli USA, “ci si aspetta un iniziale shock nei settori coinvolti,
che porterà ad una ristrutturazione degli stessi settori interessati …”. Per
esempio, settori come “la produzione di carne, fertilizzanti, bioetanolo e
zucchero” sentiranno il fiato sul collo del “vantaggio competitivo
dell’industria USA rispetto alla sua controparte Europea, e ci saranno dei
conseguenti impatti negativi sull’industria della UE”.22
Secondo lo studio, anche la produzione di macchinari
elettrici, mezzi di trasporto ed il settore metallurgico vedrebbero un declino,
così come “altri settori fondamentali”, inclusi “la produzione di legname e
carta, i servizi alle imprese, e i settori della comunicazione e dei servizi
alla persona”.23 La
Valutazione d’impatto conclude che “ci potrebbero essere consistenti e
prolungati costi d’aggiustamento. È chiaro che anche se il fattore lavoro viene
lasciato fluire verso i settori in crescita, ci saranno settori che perderanno
posti di lavoro ed il reimpiego dei lavoratori nei settori in espansione non è
automatico, in particolare a causa di possibili discordanze in termini di
capacità dei lavoratori stessi e della necessità di riconversione
professionale.”24 Per
mitigare tali impatti, specifiche misure preventive dovrebbero diventare parte
integrale del TTIP. Tuttavia, né nella valutazione d’impatto, né nel suo
mandato di negoziazione la Commissione Europea si preoccupa della necessità di
introdurre tali misure preventive come parte del negoziato. Al contrario, la
Commissione presuppone che i singoli governi abbiano essi stessi risorse
sufficienti per mitigare i danni causati dall’accordo.25 C’è il rischio che intere regioni dell’UE
finiscano per portare tutto il peso dei costi d’aggiustamento di questo
progetto transatlantico, ed il risultato di tutto ciò potrebbe essere solo un
allargamento del divario tra i membri ricchi e poveri d’Europa – cioè,
tra il centro economico e politico d’Europa e la sua periferia.26 L’adesione all’Unione Europea (e l’adozione
dell’Euro) ha già portato ad una parziale deindustrializzazione dei paesi
mediterranei.27
Poiché gli interessi dell’esportazione USA si rivolgerebbero, attraverso il
TTIP, principalmente verso quei settori dove i paesi periferici dell’Europa hanno
degli interessi da difendere – come l’agricoltura – l’apertura dell’UE a forze
di mercato transatlantiche può probabilmente esacerbare la differenza tra
membri ricchi e poveri dell’UE in un periodo in cui le politiche
macroeconomiche dovrebbero invece concentrarsi a difendere i cittadini europei
anziché esporli alla competizione estera.
Una corsa verso il basso: standard di
lavoro – più obblighi e meno diritti per i lavoratori
Gli stessi diritti del lavoro potrebbero
essere minati dall’armonizzazione di leggi e regolamentazioni tra le due
superpotenze transatlantiche. Gli USA hanno categoricamente rifiutato di
ratificare alcuni fondamentali standard e convenzioni sul lavoro
dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL), tra cui le convenzioni sulla
libertà di associazione e la libertà sindacale. Nel frattempo, il recente
attacco della Commissione Europea ai salari dei lavoratori nel contesto
dell’euro-crisi ha iniziato a spostare l’UE verso un approccio agli standard di
lavoro “più aperto e flessibile”.28 Alla luce di queste tendenze, il TTIP potrebbe servire allo scopo di
riformare sempre di più la legislazione del lavoro Europea mettendola in linea
con gli standard USA, compresa la sua famigerata legislazione anti-sindacale
che, ingannevolmente chiamata “diritto al lavoro”, ha sistematicamente
ristretto la libertà di associazione dei dipendenti – con conseguenze deleterie
sui diritti dei lavoratori.29 Secondo la Federazione del Lavoro e il Congresso delle Organizzazioni
Industriali (AFL-CIO), quella legislazione ha generato una corsa verso il basso
in termini di salari e di standard di salute e sicurezza, in quanto gli Stati
competono gli uni contro gli altri per paura delle fughe di capitali.30 Quando la Commissione Europea sostiene che
l’UE deve rivedere la sua legislazione sul lavoro al fine di “ridurre i rischi
di una diminuzione degli investimenti USA in Europa e di una loro conseguente
deviazione verso altre parti del mondo”, c’è motivo di temere che gli Stati
membri dell’UE finiranno presto per trovarsi gli uni contro gli altri in una
simile competizione.31
Dopotutto, le legislazioni Europee sul lavoro sono nella lista delle “barriere
non-tariffarie” che vengono attualmente identificate come un intralcio per il
flusso commerciale transatlantico.32
Perciò, non solo verranno persi posti di
lavoro perché interi settori dovranno ristrutturarsi in conseguenza
dell’abbassamento dei dazi tra UE ed USA, ma anche – riformando gli standard
del lavoro – il TTIP potrebbe rimettere in discussione i diritti dei lavoratori
europei di auto-organizzarsi di fronte alla crescente disoccupazione in
un’Europa colpita dall’austerità.
FONTE
Articolo segnalato da Emanuele M5S MESTRINO
Articolo segnalato da Emanuele M5S MESTRINO
Nessun commento:
Posta un commento
Il tuo commento sarà motivo di riflessione!