articolo suggerito da Emanuele M5S MESTRINO
Per la
“Legge di stabilità” sono stati presentati oltre tremila emendamenti. Contando
insieme deputati e senatori, circa tre a testa. E non sei emendamenti a testa
dei parlamentari d’opposizione, ma obiezioni che vengono dagli stessi partiti
che sostengono il governo. Ciò che corrisponde a dire che la legge non piace a
nessuno e neanche a chi dovrebbe votarla. È assurdo? Nient’affatto.
Per motivi
squisitamente politici, il governo deve continuamente annunciare “luci in fondo
al tunnel”, “primi segnali di ripresa”, e “prossime uscite dalla crisi”. Lo
stesso governo deve presentare la legge finanziaria come un’occasione per
diminuire la pressione fiscale e nel frattempo – miracolosamente – aumentare le
provvidenze per tutti quelli che ne hanno bisogno. E che oggi sono all’incirca
sessanta milioni. Questa la facciata.
Dietro la
facciata c’è invece una depressione che dura da anni e non accenna a finire;
un’economia sempre più asfittica che versa meno soldi all’erario con tasse e
imposte, e infine uno Stato che è costretto (o crede di essere costretto), per
necessità di bilancio, ad incassare sempre di più. E per questa ragione torna a
spremere il limone già spremuto, col rischio di incassare meno di prima (Curva
di Laffer) come è già avvenuto col primo aumento dell’Iva. Per giunta, da un
lato l’Europa non ci permette di spazzare la polvere sotto il tappeto,
aumentando il debito pubblico, dall’altro questo stesso debito pubblico,
malgrado ogni sforzo, continua ad aumentare. E allora come mai tutti i
parlamentari dichiarano quella legge gravemente sbagliata e da correggere? Come
mai tutti sembrano sapere come fare? La risposta è semplice. Se per primo il
governo fa certe promesse, non è strano che poi gli si chieda di mantenerle. I
parlamentari perderebbero credito agli occhi dei loro elettori, se non si
battessero per ottenere non solo ciò che è stato detto possibile, ma ciò che è
stato addirittura programmato.
Ci sarebbe
da guardare sbalorditi a questo coro di ipocrisie, a questo festival di
menzogne, a questo incrociarsi di inganni, se non fosse che, in fondo, ci siamo
abituati. L’unica novità è che, con l’Unione Europea, siamo in linea di
principio obbligati a tenere conto della realtà: questa nemica giurata della
retorica, dunque della nostra politica e – oggi – della nostra economia.
C’è grandezza nel trionfo ma ci può essere grandezza anche nella sconfitta.
Carlo I, prima di essere decapitato – era gennaio – disse a chi gli stava
accanto: “Se tremo è di freddo, non di paura”. Danton, sulla ghigliottina,
disse a Sanson: “Mostra la mia testa al popolo. Ne vale la pena”. E anche senza
giungere a questi atti di dignità e coraggio nel momento supremo, c’è grandezza
nell’ammettere di avere sbagliato. Nel riconoscere le proprie colpe.
Nell’accettare una verità che prima si era negata. È lo schema delle
“Confessioni” di S.Agostino (e non di Rousseau).
Enrico
Letta, o chi per lui al governo, dovrebbe dunque presentarsi in televisione e
parlare al Paese dicendo: “Nella situazione attuale non possiamo far nulla.
L’economia è stagnante e non si vede traccia di una ripresa. Abbiamo soltanto
due possibilità. Se dobbiamo rimanere nell’Unione Europea e nell’euro il prezzo
è questo”. E giù la giaculatoria delle imposte, delle tasse, dei sacrifici. “Se
invece usciamo dall’euro e dall’Europa, magari dichiarando il fallimento del
Paese e la cessazione dei suoi pagamenti ai creditori, ecco che cosa vi
aspetta: inflazione, stratosferico aumento dei prezzi delle merci importate,
crisi gravissima per qualche anno, fino a giungere alla ripresa e a un solido
riequilibrio del Paese”. E infine l’invito a votare per l’una o per l’altra
soluzione, “Senza credere ai demagoghi che vi prometteranno di farvi ottenere
gratis un risultato positivo”. Probabilmente sarebbe linciato sul posto già
dagli operatori della televisione, ma rimarrebbe nella storia come un gigante
della verità.
La pretesa
di galleggiare eternamente nella situazione attuale è inverosimile. Il nostro
debito pubblico continua a salire, la nostra depressione sembra non avere fine,
il nostro modello economico non è competitivo, le imprese o chiudono o lasciano
l’Italia, e tutte le soluzioni proposte (vendita del patrimonio dello Stato,
taglio delle spese pubbliche, lotta all’evasione fiscale) sono alla prova dei
fatti soltanto consolazioni mitologiche. La catastrofe si può soltanto rinviare.
Ma queste
sono le righe di un sognatore. Si vagheggia l’esistenza di qualcuno che sia
disposto non solo a non essere applaudito, ma a caricarsi per decenni la colpa
di avere detto al Paese le più scomode verità. E forse la colpa di avere
salvato l’Italia.
Gianni Pardo, pardonuovo.myblog.it
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