articolo segnalato da Emanuele M5S MESTRINO
Alla fine
l’ha detto. Intervistato dalla CNN, così Mario Monti: “Stiamo effettivamente
distruggendo la domanda interna attraverso il consolidamento fiscale.
Quindi, ci deve essere una operazione di domanda attraverso l’Europa,
un’espansione della domanda“. Cosa era venuto a fare l’abbiamo sempre
saputo, ma forse lui non l’aveva mai detto così chiaramente.
Come si
distrugge la domanda interna? Alzi le tasse e svaluti i salari. Così la gente
non ha più soldi e compra di meno. Ma non basta: lo Stato potrebbe sempre
alzare la spesa a deficit, cioè investire sui cittadini, mediante politiche
sociali (esempio: reddito di cittadinanza) o creando lavoro. E allora cosa
facciamo? Semplice: inventiamo il pareggio di bilancio e lo mettiamo
addirittura nella Costituzione, così da rendere impossibile qualunque
ripensamento. Era l’equazione che ci avrebbe matematicamente reso più poveri
(vedi “La formula che ci
inchioda“).
Ricordate? Se costringi la somma delle entrate e delle uscite di uno Stato ad
annullarsi a vicenda, allora se punti sulle esportazioni devi per forza
massacrare i portafogli. E’ quello che ha fatto Monti. Perchè?
Che
significa “una domanda attraverso l’Europa”? Significa innanzitutto diventare
un centro di produzione a basso costo per i ricchi paesi del nord (Germania in
testa), una specie di Cina europea, così da non essere costretti a
comprare dai trafficanti di diritti di Pechino, per togliere il mercato
all’oriente spregiudicato. Lo fai diminuendo i costi di produzione, e siccome
le materie prime le paghiamo sempre uguale, bisogna pagare di meno gli stipendi
e diminuire i diritti (vi dice niente la battaglia per la modifica
dell’articolo 18?). Come li costringi, i lavoratori, ad accettare uno standard
di vita meno dignitoso? Li getti nella crisi più nera, svendi tutto il
patrimonio di economia nazionale e permetti ai nuovi padroni di delocalizzare
all’estero. Gli togli le case con Equitalia. Costringi le fabbriche a chiudere:
meno offerta di lavoro uguale più domanda, cioè milioni di persone senza
reddito disposte a qualunque cosa pur di avere un tozzo di pane. Significa
anche che se i tedeschi basano tutta la loro economia sull’export, hanno
bisogno di comprare a prezzi accettabili: con un euro forte, tagliato su misura
per le loro tasche, venire a fare shopping in Italia è come andare all’outlet
nel periodo dei saldi. E significa anche, nel quadro di strategia geopolitica
occidentale, trovare alternative per limitare lo strapotere commerciale dei
brics, e magari togliere potere a quella Cina che detiene la maggior parte del
debito americano. Prendi un Paese massacrato dal debito pubblico, ricattabile,
ma anche industrializzato, dunque con le possibilità e le competenze produttive
per soddisfare la tua domanda, e lo trasformi in una miniera a basso costo. Un
piano iniziato negli anni ’80, ai tempi di Kohl e Mitterrand (vedi: “Il funzionario oscuro che
faceva paura a Kohl” e “Come ci hanno
deindustrializzato“).
Un disegno
criminoso, deciso sulla testa dei popoli, senza consultarli. Una strategia
complessiva che fonda tutte le sue possibilità di riuscita sull’esistenza di
una élite di potere che domina incontrastata, attraverso il controllo della
meta-finanza (EFSF, MES, LTRO, FISCAL COMPACT, REDEMPTION FUND…) e attraverso
la costruzione di un’unica, enorme, sovranazione dove il controllo democratico
è inesistente (e dove i think-tank sostituiscono i parlamenti), alla
quale le evoluzioni dei socialismi europei hanno venduto l’anima,
nell’illusione iniziale (condivisa con la Casa Bianca) di impedire l’ascesa di
nuovi autoritarismi e di riuscire finalmente ad assicurarsi la vittoria
politica che cercano da un secolo: creare una “Internazionale”
finalmente vincente e definitiva. Un progetto che ha come termine ultimo la
nascita degli Stati Uniti d’Europa, nei quali l’Italia diventa la
Calabria e Helsinky la Lombardia.
Ma resta un
“ma“: quell’insostenibile anelito dei popoli alla libertà, quella
fissazione verso termini e concetti desueti come “democrazia”,
quell’irriducibilità a rivendicare la propria sovranità elettiva. Resta
un’opinione pubblica da condizionare, da convincere che non esistono altre
strade oltre a quella che Monti in Italia e Papademos in Grecia sono stati
mandati a progettare, passando sopra ad ogni forma di conquista sociale,
espropriando terreni dove troppi diritti sono stati costruiti, inquinando o
prosciugando le falde acquifere dove i popoli soddisfano la loro sete di
cultura. Resta da abbattere o contenere ogni resistenza. E allora bisogna
investire fondi europei per “un’analisi quantitativa dei media”, per monitorare
le comunicazioni nei paesi euroscettici, per identificare i temi più rilevanti
e per assoldare una squadra di piccoli Goebbels in grado di reagire prontamente
e fare una propaganda mirata (vedi The Telegraph: “EU
to setup euro-election ‘troll patrol’ to tackle Eurosceptic surge“). Bisogna combattere i
“populismi”, cioè chiunque insista nel coltivare la convizione che le élite
non abbiano un mandato divino a governare sul cielo e sulla terra (né le loro
soluzioni siano le migliori a prescindere), ma la sovranità appartenga al
popolo, qualunque uso ne voglia fare. Una convinzione che si basa sul
presupposto che esiste una casta di individui nobili, colti, intelligenti,
saggi, che sanno cosa è bene e cosa è male, e una sterminata distesa di
individui primordiali, poco istruiti ma essenziali e funzionali, tanto che
secondo uno studio accreditato devono restare in apnea (vedi: “Dovete restare in apnea“), persone che devono essere
educate e guidate come buoi fuori e dentro la stalla.
E così Enrico
Letta, ieri su La Stampa, inizia la sua offensiva: “Fermiamo i
nemici dell’Europa“. “Se i populisti in Europa superassero una
percentuale del 25 per cento questo sarebbe molto preoccupante. Il rischio che
il Cinque Stelle risulti il primo partito alle Europee è molto forte. Non
possiamo limitarci ad essere timidi con Grillo, o soltanto placcarlo“. No,
non possono limitarsi a questo. Ci vuole qualcosa di più forte. Del resto, “La
possibilità che nel prossimo Europarlamento ci sia tra un quarto e un quinto di
deputati euroscettici o populisti è ormai più che probabile“, si legge
sempre su La Stampa di oggi, dove contro Grillo scende in campo un altro
super-burocrate europeo come Martin Schulz, lo stesso che poco tempo fa
si lasciava sfuggire che le banche ci starebbero truffando (vedi “Dal presidente del
Parlamento Europeo la conferma: le banche ci stanno truffando“). C’è l’estrema sinistra greca, Syriza.
Ci sono i Veri Finlandesi. Ci sono gli anti immigrati ungheresi Jobbik.
C’è l’ultradestra austriaca di Strache (il successore di Haider, morto
in un controverso incidente stradale). C’è Nigel Farage nel Regno Unito
(vedi: “Così iniziano le
dittature“), a sua
volta sopravvissuto per miracolo a un altrettanto controverso incidente aereo.
C’è Marine Le Pen con il Front National in Francia (che un
recente sondaggio accredita come il primo partito d’oltralpe). E poi,
annoverato tra gli euroscettici, c’è anche Beppe Grillo in Italia. Roba
da 9 milioni di elettori e che i sondaggi attestano costantemente sopra il 20%.
Ma è nelle
parole di Enrico Letta che si annida la madre di tutte le contraddizioni.
Letta, quello del pizzino a Mario Monti in cui lo rassicurava che avrebbe fatto
tutto quanto nelle sue disponibilità, sia ufficialmente che ufficiosamente
(vedi: “la famosa repubblica
parlamentare“). E qui il
cerchio si chiude. “Se i populisti in Europa superassero una percentuale del
25 per cento sarebbe molto preccupante“. Sta dicendo che se l’Europa fosse
davvero democratica, accogliendo nelle istituzioni l’esito della volontà
popolare che si esprimerà nelle urne, questo rappresenterebbe un pericolo per
l’Europa stessa. Sta dicendo, cioè, che l’Europa si salva solo se non è
democratica, ovvero se c’è qualcuno a guidarla al di fuori del legame di
responsabilità politica che lega l’eletto all’elettore. Qualcuno di elitario,
di incontrollabile, che risponde a logiche diverse da quelle che esprime il
popolo. Qualcuno come lui, come Mario Monti, come Mario Draghi,
come Herman Van Rompuy, qualcuno da mettere a capo della Bce, del
Fondo Monetario Internazionale, dell’Eba, qualcuno che diventi
primo ministro di ogni singolo Stato membro, indipendentemente dalle operazioni
di voto, qualcuno che faccia parte dei 17 supergovernatori che gesticono il Mes,
qualcuno che rediga i memorandum da firmare per acconsentire ad ulteriori
cessioni di sovranità, qualcuno che influenzi le elezioni nelle regioni
periferiche dell’Europa, come ha fatto Angela Merkel in Grecia prima e
in Italia due volte (vedi: “Merkel interviene sul voto greco:
scegliete chi rispetta gli accordi” e “La Germania telefonò a
Napolitano e fu subito Golpe“).
Di chi stava
eseguendo gli ordini, Mario Monti, quando ha preso il potere per tagliare le
pensioni e distruggere la domanda interna? Perché qualcuno glielo aveva
chiesto, come dimostra anche l’ultimo
duro documento del
dipartimento del Tesoro Usa scritto in conseguenza dello scontro sul caso NSA:
“La crescita anemica della domanda interna tedesca e la dipendenza di questo
Paese dalle esportazioni hanno ostacolato il ribilanciamento delle economie
proprio quando a diversi altri Paesi dell’eurozona era stato chiesto di
contribuire all’aggiustamento frenando la loro domanda interna e comprimendo le
importazioni. Il risultato di tutto ciò è stato una tendenza deflazionista
prima dell’area dell’euro e poi dell’economia mondiale“. Glielo hanno
chiesto le lobby americane, del quale egli ha perseguito a lungo il vantaggio
materiale, come presidente della Commissione Trilaterale (vedi: “Monti e gli interessi
delle lobby americane“)? E’ un
giochetto sfuggito di mano?
Che facciano
esperimenti sulla pelle dei popoli, degli imprenditori che si suicidano, di
milioni di poveri che perdono il lavoro e la casa, costretti a subire e
repressi con la violenza se osano lamentarsi, questo è impunemente,
sfacciatamente perfino dichiarato. Già, perché, continua la
stessa intervista rilasciata da Monti alla CNN: “Direi perfino che la crisi
greca, se la consideriamo fin dalle sue prime manifestazioni nel 2010, ha
confermato in maniera vivida che l’Europa diventa adulta e più forte attraverso
le crisi, perché potremmo essere capaci o incapaci, alla fine, a risolvere la
crisi greca, ma in questo processo abbiamo raggiunto un grado maggiore di
coordinazione a priori delle politiche fiscali nazionali“. A ben vedere,
una specificazione di quello che aveva già detto in precedenza (vedi: “Piccoli pezzetti di
sovranità nazionale che se ne vanno“) : “Nei momenti di crisi più acuta: progressi più
sensibili. Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di gravi crisi
per fare passi avanti. I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni
di parti di sovranità nazionali a un livello comunitario. E’ chiaro che il
potere politico, ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una
collettività nazionale possono essere pronti a queste cessioni solo quando il
costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle
perché c’è una crisi in atto, visibile, conclamata. [...] Abbiamo bisogno
delle crisi per fare passi avanti, ma quando una crisi sparisce rimane un
sedimento, perché si sono messi in opera istituzioni, leggi eccetera per cui
non è pienamente reversibile“.
Cioè: chi se
ne frega se i greci muoiono e se gli italiani si suicidano, noi dobbiamo fare
gli Stati Uniti d’Europa e giocheremo con i nostri alambicchi e le
nostre provette finché come per magia da una nuvoletta, pufff, uscirà qualcosa
che gli assomiglia. Un circo delle pulci in cui le pulci possono solo
saltare o essere schiacciate.
A maggio
2014, il loro giochino potrebbe rompersi. Ultima fermata. Poi, il capolinea.
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