di Chiara Appendino
Torino e Pontida distano 182 km sulla cartina ma 1000 anni luce sui Diritti Civili.
Oggi il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, se la prende con me perché nella Città di Torino abbiamo adottato, tramite una delibera di Giunta, delle "Linee Guida per un utilizzo non discriminatorio del linguaggio in base al genere".
Come ha scritto il nostro assessore Marco Alessandro Giusta, il linguaggio è anche lo specchio della società in cui viviamo e questo è un atto - se volete un po' scomodo - ma che vuole lanciare un segnale. Che vuole ampliare le possibilità.
Condivido, ricordando che questo è solo uno fra le centinaia se non migliaia di atti che approva una giunta.
Così come è solo uno degli atti che approva una giunta (in questo caso leghista), il nuovo regolamento per il rilascio del permesso per parcheggi rosa riservati alle donne in gravidanza approvato a Pontida.
In questo regolamento sono previsti due requisiti:
1) essere cittadini di un paese dell' Unione Europea,
2) essere appartenenti a un nucleo familiare "naturale".
Di conseguenza se sei lesbica o extracomunitaria (quindi anche cittadina svizzera, per dire), sei una mamma di serie B.
Non giriamoci intorno, sono due vere e proprie discriminazioni.
Ora, immaginate di prendere la residenza in un altro paese. Di essere in dolce attesa e di andare in Comune a richiedere il permesso per parcheggiare nelle strisce rosa.
Come vi sentireste se vi dicessero: "No, purtroppo lei è una cittadina italiana, non ha diritto a parcheggiare lì"? Oppure: "Quindi lei è lesbica? niente da fare, ci dispiace".
Lascio valutare a voi quale sia il mondo che veramente desiderate. Se un mondo dove esistono mamme di serie A e di serie B o un mondo dove non esistono questi tipi di distinzioni.
Se un mondo dove anche il linguaggio adottato nei pubblici uffici è attento alle discriminazioni di genere o un mondo dove se ti definisci "sindaca", ti piovono addosso montagne di insulti.
Il primo è il mondo che vorrei lasciare a mia figlia, il secondo mi ricorda un po' troppo il medioevo per essere un modello a cui aspirare.
Voglio concludere con le parole della linguista, Cecilia Robustelli:
"Un uso più consapevole della lingua contribuisce a una più adeguata rappresentazione pubblica del ruolo della donna nella società, a una sua effettiva presenza nella cittadinanza e a realizzare quel salto di qualità nel modo di vedere la donna che anche la politica chiede oggi alla società italiana. È indispensabile che alle donne sia riconosciuto pienamente il loro ruolo perché possano così far parte a pieno titolo del mondo lavorativo e partecipare ai processi decisionali del paese. E il linguaggio è uno strumento indispensabile per attuare questo processo: quindi, perché tanta resistenza a usarlo in modo più rispettoso e funzionale a valorizzare la soggettività femminile?"
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