articolo segnalalato da Emanuele M5S MESTRINO
Prima di tutto va sciolto un equivoco: Matteo Renzi non è un
leader moderato, o un innovatore che guarda sia a destra che a “sinistra”, ma
un cioccolataio. Ovvero qualcuno che, per esibirsi nella comunicazione
politica, non esita, in pochi mesi, a cambiare proposte politiche sul lavoro in
modo anche imbarazzante. L’ha notato anche il solitamente quieto
sbilanciamoci.info che ricorda come il Renzi del 2011, quello del contratto di
lavoro alla Ichino, aveva lasciato il passo al Renzi della flexicurity, un modello
comunque molto diverso, appena una decina di mesi dopo.
Troppo poco per un ripensamento reale, abbastanza per capire che in materia di
lavoro e di contratti Renzi procede scaricando le app disponibili nello store
delle proposte, e delle cordate di potere, non per analisi politica. Estremo
perché, essendosi proposto il Renzi come killer application della politica
italiana, il cioccolataio in questione non nega soluzioni draconiane ottime per
le apparizioni televisive: tracciabilità del contante praticamente fino agli
spiccioli, creazione di una mega Equitalia (con altro nome s’intende...) e,
audite audite, produrre lavoro precario con i soldi sottratti alle pensioni.
Proposta nuova quanto la prima riforma delle pensioni (1995) e destinata, se
mai vedesse la luce, a creare pensionati impoveriti, nuovi futuri disoccupati e
un’altra voragine nei conti dello stato. Non manca il sottofondo di proposta di
liquidazione degli asset pubblici, dall’Eni ai trasporti locali fino agli
immobili, giusto per trasferire le risorse ai privati e all’estero. Ma anche
nel centrosinistra ad uno così, non molti anni fa, al massimo avrebbero chiesto
in quale ambulanza avrebbe preferito accomodarsi. Le renzinomics sono infatti
il programma della liquidazione coatta delle risorse di un paese sotto il
pretesto del rilancio, la resa ad ogni potere della finanza globale, e
l’impoverimento supremo dell’Italia, sotto la retorica dell’innovazione.
Ma come siamo arrivati a questo punto? Il grosso dell’elettorato PD, per quanto
in lenta contrazione, si affida a Renzi sentendo parole sulla scuola, sui
servizi pubblici, sulla sanità che significano l’esatto contrario di quanto
questo elettorato percepisce (Renzi parla di riqualificare i servizi tagliando
la spesa pubblica. A questi livelli di crisi significa solo tagliare. Ma la
disperazione fa sentire cose solo immaginate). Inoltre, soprattutto,
l’elettorato del centrosinistra ha naturalizzato, dopo il terreno preparato da
Veltroni, la necessità della leadership di matrice berlusconiana. Non a caso il
Renzi della Leopolda di quest’anno è, scenograficamente, sempre più solo e
sempre più al centro della scena. Siamo passati dal modello convention,
compreso il simulacro di pensatoio, al Matteo Renzi show dove tutto è
decorativo rispetto alla presenza del sindaco fiorentino. Accompagnato da
un microfono da idolo delle folle anni ’50 che lo rende più vicino al modello
berlusconiano, quello che procede dallo spettacolo alla politica, persino più
del Lingotto veltroniano (che racchiudeva un’anima di destra accentuata).
Siccome l’uomo, o meglio il cioccolataio estremo, guarda esplicitamente anche a
destra non mancano accenti che, nel linguaggio della politica italiana, evocano
lontane origini lessicali nel parlato della squadraccia La Disperata: “ve la
toglieremo noi questa voglia di proporzionale”. D’altronde lo stratega sindaco
pensa in grande: vuole un sistema bipolare quando ormai i due maggiori partiti
stentano a raggiungere il 50 per cento assieme. Ci vorrà pure un atto di
decisione che rimetta in piedi l’Italia, che diamine. Se poi la “riforma”
elettorale del Renzi è persino peggio della legge attuale, trascinando il paese
in una sorta di Cambogia della democrazia elettiva prima di Pol Pot, sarà colpa
di chi “non ha voluto innovare”. Magari opponendosi allo smantellamento dei
residui diritti. Prima costituzionali poi materiali.
Ci sarebbe da ridere, e per molti versi c’è da farlo, di fronte a questo vuoto
nulla che parla come un cabarettista ingaggiato per intrattenere i passanti da
uno store appena aperto in un grande centro commerciale. Che evoca la parola
“primarie” e quella “riforma elettorale”, inutili procedure di voto che non
risolveranno mai la sostanza della crisi italiana, come se fosse di fronte ad
eventi benedetti dall’alato corso della storia. Solo che i tempi velano la
bocca non appena questa accenna a ridere e, nella stampa europea che conta (Il
Telegraph), circolano analisi dettagliate sulla spirale
tagli-depressioneeconomica-nuovi tagli che nel medio periodo sembra quasi
irreversibile per la società italiana. Renzi se diventasse presidente del
consiglio, se non fosse fermato in tempo, potrebbe dare il colpo di grazia a
questo paese. Le renzinomics porterebbero capitali di rapina in Italia e la
fuga di ricchezza all’estero. A suo modo, un capolavoro. Ma quello che rende
Matteo Renzi inevitabilmente un minore della politica non è tanto il suo essere
un’imitazione vernacolare di Toni Blair, clone di provincia con una visione
politica che non arriva alla punta del naso. Quanto che l’8 dicembre, giorno
delle primarie che dovrebbero incoronare Renzi, sarà piuttosto il trionfo
finale di Silvio Berlusconi. Con una candidata (Marina) che suggella la
soluzione dinastica nel futuro di Forza Italia e un segretario del Pd (Renzi)
che è il prodotto più berlusconiano della storia del centrosinistra. Grande
Matteo, cioccolataio estremo della politica il cui declino, si spera rapido, lo
porterà ad aprire capitoli di storia del cabaret politico. Non molto per
l’autoproclamatasi salvezza del centrosinistra e del paese.
Fonte: www.senzasoste.it
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