Qualcuno
s’indigna, altri non capiscono o si stupiscono. Per esempio Alessandro Gilioli si chiede come mai il Pd per bocca
di Fassina rifiuti la proposta di reddito di cittadinanza avanzata dal M5S con
l’argomento sbrigativo e peraltro scorretto* che non ci sono coperture. La
risposta è che l’ira piddina nasce dal fatto che la proposta dei cinque stelle
è quella che il partito avrebbe dovuto avanzare da molto tempo, insomma una
sorta di cattiva coscienza nei confronti di uno strumento che l’Europa ci
stimola ad usare ormai dieci anni e che anche gli economisti alla Cipolletta
vedrebbero con favore.
Probabilmente
c’è anche questo elemento, ma la risposta vera è molto più complessa e affonda
le sue radici nella creazione del modello Italia dentro il quale si è sempre
cercato di sostituire i diritti con privilegi ad personam o di categoria, dove
il welfare è stato sempre interpretato come una sorta di voto di scambio e
proprio per questo è rimasto gracile, soffocato dalle elargizioni di posti e
prebende, di “favori” e aiutini sotto molteplici forme.
Il sistema politico da molti decenni e forse da sempre è stato orientato a
trattare con clientes piuttosto che con cittadini costruendo proprio su questo
un patto sociale anomalo, ambiguo e fonte di corruttela. E’ chiaro perciò che
la prospettiva di un reddito di cittadinanza o minimo che peraltro esiste in
tutto il continente, è qualcosa che si scontra direttamente con la struttura del
potere. Persino i sindacati sono fortemente contrari temendo di perdere presa
nel mondo del lavoro, soprattutto quelli che sono a libro paga dei padroni del
vapore.
Il dramma è
che la disoccupazione e la povertà dilagano a causa della doppia crisi che si è
abbattuta sul Paese: una tutta nostra causata dal disfacimento di un modello
ormai insostenibile, l’altra quella globale che ha creato una superinfezione su
un organismo già debilitato. Il dramma è che non c’è via d’uscita a
provvedimenti che in un modo o nell’altro riescano a sostenere un livello di
vita e di consumi minimi per salvare non solo la dignità, ma anche ciò che
resta dell’economia. Senza questo il malcontento sarà destinato ad esplodere
come una bomba ad alto potenziale non appena il “welfare” familiare avrà
esaurito le risorse accumulate nel tempo. E tuttavia si traccheggia, si tira il
culo indietro perché l’establishment italiano (mafie comprese) teme che un
reddito minimo eroda le fondamenta del proprio potere e finisca per trasformare
i clienti in esigenti cittadini non più facilmente ricattabili sia sul lavoro
che dentro le urne. Cittadini che magari si mettano in testa la bizzarra idea
di volere un buon governo, una sanità che non sia il bancomat dei partiti e
degli speculatori, un’amministrazione pubblica efficiente e non lottizzata,
appalti senza tangenti.
Il problema
politico non è se l’Italia debba dotarsi di strumenti normali nella stragrande
maggioranza dei
Paesi europei, ma di come e in che misura attuarli: a seconda dei livelli e dei
metodi utilizzati si può infatti stimolare la rinascita di un’economia sana,
seria e intraprendente che non ha bisogno di immiserire materialmente e
culturalmente la popolazione, oppure abbassare a tal punto il minimo vitale da
dare spazio alle imprese di rapina, ai salari da fame e soprattutto a una
precarietà che grazie ai soldi pubblici e alla sopravvivenza garantita da essi,
mandi alle stelle i profitti privati. La Germania da questo punto di vista è
un’ottima rappresentazione diacronica della doppia personalità del reddito
minimo: sino alla fine degli anni ’90, grazie a un generosi sussidi il
reddito di cittadinanza ha favorito la nascita di un sistema economico basato
sull’alta qualità e sulla competenza, poi con la drastica diminuzione dei
sostegni è stato invece incoraggiato il meraviglioso mondo liberista della
precarietà, dei mini jobs e dei salari da fame. Così che il Paese è adesso una
sorta di dottor Jekill e mister Hide, dove il meglio e il peggio si confondono
e ancora non deflagrano grazie alla capacità di far aderire le vittime al
pensiero dei carnefici o magari creando il feticcio delle cicale del Sud per
riversare su cause e timori esterni il malcontento.
Come si vede
le cose non sono affatto semplici e ci sarebbe ampio spazio per far valere le
differenze di idee e prospettive dei vari schieramenti, battendosi tra reddito
di cittadinanza o reddito minimo ( la differenza c’è eccome) e sui loro
eventuali livelli a patto però di far politica e di non limitarsi a difendere
il decotto sistema – Italia e i rappresentanti del medesimo. Dire semplicemente
che il reddito di cittadinanza non si può fare, non è nemmeno più politica, è
solo aggrapparsi al passato come del resto fa da sempre una certa destra padronale
sciocca, avvilente e ignorante, tipica del berlusconismo bottegaio e
paradossalmente priva di etica del lavoro.
* L’esperienza
fatta dal dopoguerra dimostra che i redditi di cittadinanza o i redditi minimi
, finiscono tutti in consumi di base e quindi tornano al’ 70% nelle casse
dello stato sotto forma di imposte indirette (iva per esempio), tassazioni
dirette dovute all’aumento delle attività economiche e minori spese di
assistenza. E per altro, come è stato recentemente dimostrato (http://www.biblio.liuc.it/liucpap/pdf/60.pdf>
">qui un articolo molto tecnico per i curiosi) , determinano un aumento
dell’occupazione e non la sua diminuzione, come superficialmente si potrebbe
credere e come fanno credere i media.
Fonte: http://ilsimplicissimus2.wordpress.com
Nessun commento:
Posta un commento
Il tuo commento sarà motivo di riflessione!