Svalutazione
interna del 10%, vale a dire: l’Italia deve “costare” meno. Meno soldi per
salari, pensioni e servizi, mettendo mano alle “riforme strutturali”
neoliberiste invocate da Mario Monti e ora sul tavolo di Letta, Alfano e
Saccomanni, cioè la “squadra” messa insieme da Napolitano. E’ la drammatica
“ricetta” avanzata dall’élite finanziaria mondiale per tramite del famigerato
Fmi, che nella settimana della crisi-burla ha recapitato a Roma un
dossier di 300 pagine in cui il braccio armato della Troika disegna l’imminente
fallimento del nostro paese, prenotandone la resa: cessione dello Stato a
prezzi di realizzo, smantellamento di quel che resta del welfare, ulteriore compressione degli
stipendi. Il rapporto rivela che il saldo della nostra bilancia dei pagamenti è
migliorato solo “per disgrazia ricevuta”: spendiamo meno per le importazioni
perché stanno franando i consumi sotto la scure dell’austerità, mentre le
aziende chiudono e il 25% dei giovanissimi vive in famiglie che non sanno più
come arrivare alla fine del mese.
I tecnici
del Fondo Monetario, una delle istituzioni che hanno pilotato la crisi dell’Eurozona nella quale stiamo
sprofondando, dal momento in cui gli Stati non hanno più alcuna sovranità
finanziaria, avverte che senza una “svalutazione interna” di almeno il 10% il
nostro paese non tornerà competitivo. A pezzi anche il nostro sistema bancario:
sta ancora in piedi solo grazie ai finanziamenti della Bce di Draghi, che però
non dureranno all’infinito. Sempre il Fmi spiega che i bilanci delle banche
stanno diventando insostenibili per via del crollo del valore degli immobili
detenuti come garanzia, mentre i crediti non esigibili da aziende e privati
sono arrivati a 140 miliardi di euro, cifra che rappresenta il 10% del Pil. Un
buco che si allargherà (nessuno sa di quanto) almeno fino al 2015. Il Fmi
paventa il rischio di ulteriore declassamento dell’Italia, a cura delle solite
agenzie di rating, e parla apertamente della necessità di ricorrere a «sostegni
europei per evitare il collasso». E’ l’obiettivo finale di chi ha progettato
l’euro-crisi: denaro vincolato, con cui
Bruxelles imporrebbe in modo definitivo, come in Grecia, le sue
condizioni-capestro.
A recitare
una parte importante nella commedia provvedono le agenzie di rating,
istituzioni screditate perché in realtà complici del sistema speculativo: il
nostro rating – e di conseguenza l’interesse che paghiamo sui titoli di Stato –
è a rischio se non si approverà la “legge di stabilità”, cioè la finanziaria da
approntare sotto dettatura europea, non importa se scritta a Roma per salvare
l’apparenza o vergata direttamente a Bruxelles. Secondo “Fitch”, se l’Italia
non eseguirà gli ordini «il paracadute del sostegno europeo di Draghi potrebbe
non aprirsi». E senza quel paracadute, osserva il blog di Grillo, nessuno
all’estero scommetterebbe un euro sui nostri Btp. «Prova ne è che gli
investitori, dopo il nostro collasso politico, mentre compravano i Btp si
coprivano dal rischio-default dell’Italia facendo schizzare del 15% in un solo
giorno i Credit Default Swap (Cds), l’assicurazione sulla insolvenza dei
titoli». Risultato: i Cds per l’Italia sono arrivati a 310 contro 270 per
quelli spagnoli. «Significa che gli operatori sono disposti a pagare 310.000
euro pur di assicurarsi sul rischio-fallimento di 10 milioni di euro di Btp, dieci
volte quello che si paga per la stessa assicurazione sui titoli americani».
Gli
stranieri, avverte Grillo, hanno iniziato a mettere le mani avanti da
settimane. La Lch di Londra, la stanza di compensazione che fornisce liquidità
a breve alle banche in cambio di garanzie, ha detto che non coprirà più il 100%
del valore dei Btp dati in garanzia dalle banche italiane come ha fatto finora:
non si fida. Jens Weidmann, il governatore della Bundesbank, ha lanciato un
messaggio di allarme all’Italia dal “Financial Times” invitando le nostre
banche a ridurre i titoli pubblici nei bilanci e a coprirsi dal loro rischio
con nuovi capitali, oggi pari a zero. «Draghi dovrà tranquillizzare il mercato
su un terzo round di liquidità in arrivo alle banche in cambio di titoli di
debito pubblico dati in garanzia (il famoso Ltro) senza il quale le nostre
banche non avrebbero più ossigeno». Dopo tanti segnali di allarme, scrive il
blog 5 Stelle, «ci si aspetterebbe che il nostro paese alzasse finalmente la
testa». Invece, si defenestra Paolo Cucchiani – capo della prima banca
italiana, Intesa SanPaolo – «perché si è opposto all’acquisto-fusione del Monte
dei Paschi». In un paese normale «dovrebbe essere lo Stato a salvare le banche,
nazionalizzandole», mentre «nel nostro si prova a metterne insieme due che
hanno un totale di 150 miliardi di euro di Btp in pancia per salvare lo Stato».
L’unica via
d’uscita da questo tunnel è contenuta in due parole semplicissime: sovranità
monetaria. E’ indispensabile, per consentire allo Stato di disporre del denaro
necessario a far fronte alla spesa pubblica, senza la quale crolla – come si
vede – anche l’economia privata. Il dramma? Dagli anni ’80, con lo storico
divorzio dal Tesoro organizzato da Ciampi e Andreatta, Bankitalia ha cessato di
essere il “bancomat” del governo: da quel momento, per finanziarsi, lo Stato ha
dovuto ricorrere alla finanza speculativa con la vendita dei propri titoli, da
rimborsare poi con gli interessi. Retromarcia impossibile, poi, dopo il
Trattato di Maastricht: oggi la Banca d’Italia non potrebbe emettere euro
neppure se lo volesse. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: lo Stato è
costretto a elemosinare denaro, la Bce può rifornire solo le banche private, le
tasse sono diventate – per la prima volta nella storia – una fonte finanziaria
per far funzionare i servizi, fino a ieri coperti invece dal ricorso strategico
al deficit, cioè lo strumento naturale con cui lo Stato sovrano
costruisce scuole, ospedali e infrastrutture, “anticipando” denaro.
La crisi europea – un conto alla rovescia
sempre più drammatico, data l’insostenibilità del sistema – è ormai al centro
delle attenzioni degli economisti indipendenti di tutto il mondo, ma non c’è
pericolo che il tema venga affrontato in modo serio dai nostri media. Non ne
parla nessuno: né Confindustria, né i sindacati. Buio pesto dalla politica: Letta e Alfano, Cicchitto e
Quagliariello, Epifani e Renzi. Nessuno di loro ha mai osato neppure porre
ufficialmente il problema, cristallizzato in forma di totem dal dogma su cui
vigila Napolitano: agli ordini di Bruxelles e Francoforte si deve semplicemente
obbedire, così come a quelli di Washington se si tratta di fare la guerra in
Afghanistan e acquistare gli F-35. In cambio, la piccola casta italiana si
consola con appaltucci alla sua portata, come l’inutile Tav Torino-Lione. Intavolare
un vero dibattito su come salvare il paese? Impossibile. «In un momento come
questo è impensabile provare a riformare la politica europea», ha detto a “La7” Nichi
Vendola, uno che in teoria dovrebbe fare il politico, non il turista televisivo
dello studio di Lilli Gruber.
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