articolo suggerito da Emanuele M5S MESTRINO
DI
ALESSANDRO BIANCHI
lantidiplomatico.it
Intervista esclusiva al Columnist economico del Telegraph Ambrose Evans
Pritchard
- Dalle colonne del Telegraph, Lei ha scritto spesso come i paesi
dell'Europa del sud dovrebbero formare un cartello e parlare con un'unica voce
nel board della Bce e nei vari summit per forzare quel cambiamento di politica
necessario a rilanciare le loro economie. Ritiene che il sistema euro possa
ancora salvarsi o giudica migliore per un paese come l'Italia scegliere il
ritorno alla propria valuta nazionale?
Quello che serve in Europa oggi è uno shock economico sul modello
dell'Abenomics. Italia, Spagna, Grecia e Portogallo, insieme alla Francia
devono smettere di fare finta di non avere un interesse in comune da tutelare.
Questi paesi hanno i voti necessari per forzare un cambiamento. La Bce oggi non
sta rispettando gli obblighi previsti dai trattati e non solo per il target del
2%, dato che nei trattati non si parla solo d'inflazione, ma anche di crescita
e di occupazione. Il dato dello 0,8% di ottobre è un autentico disastro per
l'andamento della traiettoria di lungo periodo del debito. Senza un cambio di
strategia forte, l'Italia sarà al collasso nel 2014. Il paese ha un avanzo
primario del 2.5% del PIL e ciononostante il suo debito continua ad aumentare.
Il dramma dell'Italia non è morale, ma dipende dalla crisi deflattiva cui è
costretta per la sua partecipazione alla zona euro.
La politica è fatta di scelte e di coraggio. Fino ad oggi non si è agito per
impedire che si dissolvesse il consenso politico dell'euro in Germania. Ma oggi
c'è una minaccia più grande e se Berlino non dovesse accettare le nuove
politiche, può anche uscire dal sistema. Il ritorno di Spagna, Italia e Francia
ad una valuta debole è proprio quello di cui i paesi latini hanno bisogno. Del
resto, la minaccia tedesca è un bluff ed i paesi dell'Europa meridionale devono
smascherarlo. L'ora del confronto è arrivato.
- Il problema è che i governi attuali dell'Europa meridionale sembrano
ipnotizzati dall'incantesimo del "più Europa" e non prendono in considerazione
altre soluzioni. Da cosa dipende?
Recentemente ho avuto modo di incontrare a Londra il primo ministro italiano
Enrico Letta ed abbiamo parlato proprio di questo. Alla mia domanda sul perché
non si facesse promotore di un cartello con gli altri paesi dell'Europa in
difficoltà per forzare questo cambiamento, il premier italiano mi ha risposto
che secondo lui sarà Angela Merkel a mutare atteggiamento nel prossimo mandato
e venire incontro alle esigenze del sud. Si tratta di un approccio assolutamente
deludente. Enrico Letta, come anche Hollande in Francia, è un fervente credente
del progetto di integrazione europea e non riesce ad accettare che l'attuale
situazione sia un completo disastro. Questo atteggiamento non gli permette di
comprendere le ragioni per cui l'euro sia divenuto così disfunzionale per i
paesi membri.
- Coloro che sostengono che i paesi dell'Europa meridionale non possono
tornare alle loro monete nazionali utilizzano due motivazioni in particolare:
l'enorme inflazione conseguente all'inevitabile svalutazione ed il fatto di non
poter poi reggere la concorrenza di colossi commerciali come la Cina. Le
giudica corrette?
Si tratta, in entrambi casi, del contrario esatto della realtà. L'euro è
un'autentica maledizione per le esportazioni, che dipendono dai prezzi e dal
tasso di cambio. I paesi europei sopravvalutati a causa della moneta unica
hanno perso una quota importante del loro mercato globale a disacapito della
Cina. Con Pechino che tiene lo yaun sottovalutato e con una moneta enormemente
sopravvalutata, molte aree dove l'industria italiana eccelle sono
inevitabilmente in crisi. Una crisi che dipende dal tasso di cambio.
Per quel che riguarda l'inflazione, qualora l'Italia dovesse procedere ad un
collasso disordinato e caotico dell'euro, il paese potrebbe perdere nella prima
fase il controllo dei prezzi. Ma oggi quest'ultimi sono già fuori controllo.
Nei paesi dell'Europa meridionale è in corso una grave crisi di deflazione che
rischia di riproporre il "decennio perso" del Giappone con contorni
inquietanti per quel riguarda l'andamento debito/Pil. In Italia è passato dal
120% al 133% in due anni: si tratta di una trappola che sta portando il paese
al collasso. Il problema da combattere oggi è la deflazione e non l'inflazione.
L'esperienza attuale dell'Italia e degli altri paesi della zona euro è molto
nota in Gran Bretagna. Nel nostro paese ci sono stati due esempi similari di
crisi di deflazione e svalutazione interna: agli inizi degli anni '30 con il
sistema del Gold Standard e nella crisi dello SME del 1991-1992. In entrambi i
casi, il Regno Unito ha determinato la rottura del sistema e restaurato il
controllo totale della propria valuta nel momento in cui gli interessi del
paese erano messi a rischio. I critici al tempo utilizzavano la stessa
argomentazione dell'inflazione, ma nel 1931 all'uscita del Gold Standard, in
una situazione di deflazione interna, non vi è stato alcun aumento
incontrollato dei prezzi, con lo stimolo monetario e la svalutazione che sono
stati la premessa per la ripresa dalla Grande Depressione. La stessa identica
esperienza l'abbiamo vissuta nel 1992 con la crisi dello Sme.
Spesso si tende ad avere un approccio superficiale alle questioni economiche e
questo non aiuta il dibattito politico. Se dovesse lasciare l'euro, l'Italia
dovrebbe optare per un grande stimolo monetario da parte della Banca d'Italia,
una svalutazione ed una politica fiscale sotto controllo. Questa combinazione
garantirebbe al paese una transizione tranquilla e nessuna crisi fuori controllo.
- Molto spesso coloro che reputano insostenibile il ritorno alle monete
nazionali paventano anche l'insostenibilità di poter sopportare le inevitabili
ritorsioni economiche della Germania. Si tratta di una minaccia
credibile?
Non c'è nulla di più falso. E' negli interessi della Germania gestire
l'eventuale uscita di un paese membro nel modo più lineare, regolare e
tranquillo possibile. Nel caso di un deprezzamento fuori controllo della Lira,
ad esempio, il più grande sconfitto sarebbe Berlino: le banche ed assicurazioni
tedesche che hanno enormi investimenti in Italia sarebbero a rischio
fallimento; ed inoltre, le industrie tedesche non potrebbero più competere con
quelle italiane sui mercati globali. Sarebbe interesse primordiale della
Bundesbank acquisire sui mercati valutari internazionali le lire, i franchi,
pesos o dracme per impedirne un crollo. Si tratta di un punto molto importante
da comprendere: nel caso in cui uno dei paesi meridionali dovesse decidere di
lasciare il sistema in modo isolato, è nell'interesse dei paesi economici del
nord Europa, in primis la Germania, impedire che la sua valuta sia fuori
controllo e garantire una transizione lineare. Tutte le storie di terrore su
eventuali disastri che leggiamo non hanno alcuna base economica.
- In diversi suoi articoli recenti, Lei dichiara come la spinta al
cambiamento arriverà dalla Francia. Quale sarà l'elemento che lo determinerà in
concreto?
Con la disoccupazione che cresce a livelli non più controllabili, Hollande, che
ha posto come suo obiettivo primario della sua presidenza quello
dell'occupazione, ha perso ogni credibilità e sta arrivando al limite di
sopportazione con l'Europa.
Quello che sta accadendo oggi alla Francia è l'esatta riproposizione delle
dinamiche economiche che il paese ha vissuto dal 1934 al 1936, quando con
il Gold Standard il paese si trovava in una situazione di deflazione,
disoccupazione di massa e non aveva gli strumenti per ripartire. I dati sono
arrivati ad un livello insostenibile nella presidenza Laval nel 1935 ed ha
determinato un cambiamento politico rivoluzionari nel 1936: la vittoria del
Fronte Popolare. La Francia di oggi è in una situazione simile al 1935, con i
dati economici che continuano a peggiorare di mese in mese, ed una svolta come
quella del 1936 si avvicina. Basta vedere la tensione dei protestanti in
Bretagna o i risultati crescenti del Fronte Nazionale per comprenderlo.
- Sarà Le Pen ad imprimere questo cambiamento?
L'ascesa del Fronte Nazionale è incredibile, ma non penso che prenderà mai
il potere. Quello che accadrà sarà però altrettanto rivoluzionario, in
quanto costringerà gli alri partiti, soprattutto i gaullisti, a modificare la
loro politica. Il programma di Le Pen è chiaro: uscita immediata dall'euro -
con il Tesoro francese che proporrà un accordo con i creditori tedeschi, se
questi non l'acceteranno la Francia tornerà lo stesso al franco e le perdite
principali saranno per la Germania – e poi referendum sull'Ue sul modello
inglese. Sono argomenti che incontrano la simpatia di un numero crescente di
persone in modo trasversale e gli altri partiti non possono più ignorarli. Il
Fronte Nazionale sta forzando gli altri partiti a cambiare la loro agenda e
realizzare che non possono semplicemente avere la stessa opinione di Berlino e Bruxelles.
- In molti paesi stiamo assistendo alla fusione dei partiti conservatori e
socialisti a difesa dell'austerità di Bruxelles e contro le intenzioni di voto
degli elettori. Il voto dei Parlamenti nazionali sulle leggi di stabilità ormai
non conta più ed i governi aspettano solo l'approvazione della Commissione.
Infine, i paesi si stanno indebitando per finanziare organizzazioni
inter-governative come il Mes, che prenderà decisioni fondamentali per la vita
delle popolazioni nei prossimi anni e non ha all'interno meccamismi di
trasparenza e di controllo democratico. Ma cosa sta diventando l'Unione
Europea?
La difficoltà oggi è quella di comprendere il perché la creazione dei vari
strumenti di coesione federale decisi dall'Ue abbiano creato un sistema così
disfunzionale. Il problema fondamentale è la mancanza del controllo delle
imposte e della spesa da parte di un Parlamento eletto democraticamente.
Non è un caso che la guerra civile inglese sia iniziata nel 1640 quando il re
ha cercato di togliere questi poteri al Parlamento o che la rivoluzione
americana sia scoppiata quando questo potere è stato tolto da Londra a stati
come Virginia o il Massachusetts, che lo esercitavano da tempo. Sono esempi
anglosassoni, ma ce ne sono tanti altri di come le fondamenta della democrazia
risiedono nel controllo del budget e delle imposte da parte di organi eletti
dal popolo. Quello che sta accadendo all'Ue è, al contrario, il tentativo di
darne la gestione a strumenti e strutture sovranazionali, che non hanno alcun
fondamento con nessun Parlamento. E' estremamente pericoloso e chiaramente
anti-democratico. L'argomento che viene usato spesso in sua difesa è
che si tratta di un primo passo antidemocratico si, ma che serve per completare
la federazione sul modello statunitense. Il sistema americano sarebbe il
modello logico da imitare, ma non è realizzabile: non c'è il consenso politico
nei cittadini europei e per gli Usa vi erano sistemi, istituzioni e tradizioni
completamente differenti. François Heisbourg nel suo utlimo libro centra
alla perfezione questo punto: non si può creare un'Unione politica con
l'obiettivo di salvare l'euro. E' ridicolo. La federazione deve essere
subordinata ad i grandi ideali che plasmano una società e non per salvare una
moneta. I paesi devono tornare alla realtà sociale al più presto e non devono
pensare a strumenti di ingegneria finanziaria per far funzionare qualcosa che
non può funzionare.
- Il referendum voluto da Cameron per la rinegoziazione della partecipazione
del Regno Unito all'Ue trova il favore di un numero crescente di paesi,
soprattutto nel nord Europa. Cosa si attende dal voto inglese?
La prima reazione in Europa quando Cameron ha lanciato il referendum è
stata quella di definire gli inglesi "stupidi suicidi". L'argomento
era quello che Londra avrebbe perso mercato e si sarebbe rassegnata al declino
economico. Si tratta di argomentazioni ridicole. Le persone che hanno ancora
ben compreso come funziona l'Unione Europea, come quelle con cui mi sono
confrontato alla Conferenza Ambrosetti a Como in settembre, sanno che
l'uscita del Regno Unito sarebbe si un disastro, ma non per Londra, per l'Ue.
Il progetto europeo si basa su tre gambe, una delle quali è la Gran Bretagna,
l'Olanda ed i paesi scandinavi. E senza una di queste, l'Ue è finita, perché la
chimica interna cambierebbe e sarebbe particolarmente difficile soprattutto per
la Francia mantenere i sottili equilibri con la Germania. La decisione inglese
è un enorme avviso a Bruxelles: l'integrazione è andata troppo oltre il volere
popolare e le popolazioni vogliono indietro alcuni poteri. La Costituzione
europea è stata rigettata da un referendum in Francia ed Olanda. I trattati
recenti non sono stati posti al giudizio del popolo, tranne che in Irlanda, ma
costringendola a votare fino all'accettazione. Questa fase in cui si procede
senza consultare i cittadini è finita. Questo tipo di arroganza è finito.
- Nel maggio del prossimo anno ci saranno le elezioni per il Parlamento
europeo, un test fondamentale per i partiti e movimenti scettici verso
Bruxelles. L'Ue non sarà più la stessa
Da studioso dell'economia mi trovo in difficoltà a rispondere. Posso dire che
oggi il pericolo maggiore per i paesi dell'Europa meridionale si chiama
crisi deflattiva, che potrebbe presto trasformarsi in una depressione
economica in grado di rendere fuori controllo la traiettoria debito/Pil. E' un
potenziale disastro. In questo contesto, la politica si deve porre l'obiettivo
del ritorno di una serie di poteri sovrani delegati a Bruxelles e le elezioni
europee del prossimo maggio saranno un evento potenzialmente epocale: i partiti
scettici dell'attuale architettura istituzionale potrebbero essere i primi in
diversi paesi – l'Ukip in Gran Bretagna, il Fronte Nazionale in Francia, il
Movimento cinque Stelle in Italia, Syriza in Grecia ed in altri paesi – e sarà
la possibilità per le persone di esprimere la loro irritazione e frustrazione
contro le scelte da Bruxelles. Un blocco politico importante potrà
distruggere questo "mito artificiale" che si è costruito: l'Ue
non sarà più la stessa e sarà costretta ad essere meno ambiziosa e comprendere
che molte delle sue prerogative devono tornare agli stati nazionali. I
governi di Italia, Spagna, Francia devono riprendere il pieno controllo delle
vite dei loro cittadini e non pensare all'allargamento all'Ucraina o alla
Turchia. Si tratta dell'ultima battaglia.
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