articolo suggerito da Emanuele M5S MESTRINO
Un golpe di nome euro
Se la moneta unica fosse tecnicamente un “colpo di
stato” contro paesi membri e cittadini? Per non cadere dal pero, saggio (a
puntate) del giurista Guarino
Pubblichiamo un saggio di Giuseppe Guarino, già
ordinario di Diritto pubblico alla Sapienza di Roma, già ministro delle Finanze
(1987) e dell’Industria (1992-’93).
La tesi del
professore è che all’origine della moneta unica si sia realizzato un “colpo
di stato”, attraverso un preciso regolamento comunitario, il numero
1466/97. Approfittando della fortissima volontà dei governi del tempo di
superare a tutti i costi “l’esame” – sul fronte dei conti pubblici, per esempio
– necessario a entrare nella nuova area valutaria, la Commissione fece
approvare infatti un regolamento che avrebbe vincolato in maniera decisa le
leve della politica economica fino ad allora in mano agli stati membri.
Il ragionamento di Guarino è lungo ma non oscuro, narrato con stile piano, a
disposizione – per volontà dello stesso autore – di chi lo volesse confutare.
Qualcuno potrebbe sostenere, forse non a torto, che non di soli formalismi
giuridici è costituito il processo d’integrazione europea. Ciò detto, è un
fatto che pezzi d’establishment guardino con ansia crescente alle prossime
elezioni europee, ritenute facile terreno di caccia per “populisti” anti moneta
unica. Ieri pure l’agenzia di rating Moody’s ha parlato di rischi “non
trascurabili” che in Italia “i partiti anti-euro prendano il potere con un
programma di uscita dall’euro”. Guarino obbliga a confrontarsi con una lettura
critica ma acuta, nient’affatto dozzinale, del tipo di mentalità dominante
nella storia dell’integrazione europea. A meno di non accontentarsi di vivere
in un’èra in cui tutte le vacche sono populiste, buona lettura.
Una
espressione usata anche in atti formali, compreso il molto recente cosiddetto
Fiscal compact (art. 1, comma 1) è quella di “Unione economica e monetaria”
(Uem). L’Unione
monetaria non è stata realizzata. L’Unione economica non è stata creata. Le
monete circolanti con “valore legale” nell’Unione erano tredici al 1° gennaio
1999, data del lancio. Una, l’euro, moneta comune di undici stati. La sterlina
e la peseta, “monete nazionali”. Oggi le monete sono dodici, di cui una,
l’euro, moneta comune, undici, monete nazionali.
L’Unione
economica non è stata creata. L’Atto unico europeo (Aue) e il Trattato dell’Unione
europea (Tue), che sono i due Trattati ai quali ne viene attribuito il merito,
si sono limitati a creare un “mercato unico”. E’ un grande spazio economico nel
quale si applicano, come dominanti, i principi della libera iniziativa privata
(libertà di impresa) e della più ampia apertura. Oggi la maggior parte dei
rapporti economici del globo sono retti da discipline ispirate ai medesimi
principi della libera iniziativa privata, quindi della libertà di impresa, in
un mercato aperto. Si è costruito a livello quasi mondiale un mercato “unico”.
Nessuno lo definirebbe “Unione economica”.
Il “mercato
comune” formò oggetto precipuo dell’Aue, integrato successivamente dal Tue. Il Tue ha disciplinato oggetti
nuovi, in modo particolare ha dettato una disciplina generale sull’attività
economica e sui bilanci degli stati, quindi implicitamente sulla moneta comune.
Alle norme che avrebbero influito sulla concretizzazione della “moneta comune”
si pose mano negli ultimi mesi di discussione sul Tue. A quel punto molti
capisaldi della disciplina della moneta erano stati già fissati. La moneta
sarebbe stata comune non a tutti gli stati dell’Unione, ma solo a quelli che si
sarebbero assoggettati alla sua specifica disciplina. La decisione scaturì
dalla indisponibilità del Regno Unito a rinunciare alla sua storica moneta, la
sterlina. L’Unione, senza il Regno Unito, sarebbe nata monca. Fu concessa al
Regno Unito la clausola dell’“opting out”. Avrebbe potuto aderire all’euro,
dimostrando di averne i requisiti, in qualsiasi momento successivo. Concessa al
Regno Unito, la clausola non poté essere negata alla Danimarca. Fu concessa di
fatto, in assenza di deroga formale, alla Svezia, il primo paese ad aderire
all’Ue, dopo la stipula del Trattato. L’art. 109 k) ha finito per contemplare
due distinte categorie di paesi membri, quelli ammessi all’euro, denominati
senza deroga, e quelli che continuano ad avvalersi della propria moneta,
denominati “paesi con deroga”. L’art. 109 k) indica gli articoli del Tue che si
applicano ai soli paesi senza deroga.
Come il
Regno Unito aveva dichiarato che non avrebbe rinunciato alla sterlina, così la
Germania precisò che avrebbe aderito all’Unione e alla moneta unica solo se
questa fosse risultata simile al marco. Il marco era la moneta storica della Germania.
In attuazione di un indirizzo politico assunto sin dall’inizio, il governo
federale coadiuvato dalla Bundesbank si attenne con rigore a criteri
antinflazionistici per garantire duratura stabilità al valore della moneta, e
conseguentemente uno sviluppo armonioso, equilibrato, continuo della economia.
L’obiettivo della stabilità della moneta comportava, nelle valutazioni di Otto
Pöhl, presidente della Bundesbank, condivise da Jacques Delors, presidente
della Commissione, e poi dai rappresentanti di tutti gli altri paesi, che
venissero fissati limiti all’indebitamento di ciascuno stato membro nelle
percentuali, rispetto al pil, del 3 per cento nell’indebitamento annuale, del
60 per cento nel debito totale. Al dibattito finale presero parte attiva le
delegazioni italiana e britannica.
Prima che ci
si accordasse sulle caratteristiche della moneta, erano state concordate misure
che avrebbero condizionato l’intera architettura del sistema. Gli stati avrebbero
partecipato all’Unione conservando il loro carattere sovrano. Avrebbero ceduto
non la sovranità, ma l’esercizio della stessa, in ambiti vasti, che sarebbero
stati predeterminati. Le competenze dell’Unione sarebbero state solo quelle
specificamente contemplate dal Trattato. Le risorse dell’Unione sarebbero
state, oltre i ricavi dei dazi esterni e di poche altre entrate, quelle
trasferite all’Unione dagli stati (definite “proprie”). Il bilancio dell’Unione
sarebbe dovuto risultare ogni anno in pareggio. Ne discendeva che l’Unione non
avrebbe potuto indebitarsi. Nelle materie di sua competenza, l’Unione avrebbe
emesso regolamenti e direttive, con efficacia vincolante diretta negli stati
membri. Norme del Tue, integrative dell’Aue, avrebbero vietato aiuti di stato
ed evitato la formazione di posizioni dominanti nel mercato.
L’Aue aveva consacrato la libertà di movimento, oltre che delle merci, delle
persone, del diritto di stabilimento e anche dei capitali, compresi quelli a
breve. L’Unione avrebbe promosso la liberalizzazione del commercio internazionale
con abbattimento generalizzato dei dazi doganali. La direttiva Ue, avente ad
oggetto la libera circolazione dei capitali a breve, era stata adottata dalla
Commissione e recepita dai paesi membri ancora prima del completamento del
disegno dell’Unione.
Questo è il quadro, contenente un numero elevato di
punti fermi, nel quale le delegazioni si accinsero a inserire le norme che in
modo diretto o indiretto avrebbero caratterizzato la nuova moneta. La disciplina avrebbe dovuto
conformarsi a quella del marco in tre aspetti fondamentali.
a) Avrebbe dovuto essere diretta
all’obiettivo di promuovere una crescita rispondente alle caratteristiche
fissate nell’art. 2 Tue. Una crescita cioè “sostenibile, non inflazionistica e
che rispetti l’ambiente, un elevato grado di convergenza dei risultati
economici, un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il
miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e
sociale e la solidarietà tra stati membri”.
b) Il compito di provvedere allo
sviluppo sarebbe spettato distintamente a ciascuno stato, il quale vi avrebbe
provveduto nell’interesse proprio e dell’Unione, con la propria politica
economica (artt. 102 A, 103 Tue).
c) Agli stati avrebbero dovuto
essere attribuiti mezzi e/o strumenti necessari per il perseguimento
dell’obiettivo della crescita. Qui i progettisti (gli “architetti del sistema”)
dovettero constatare che la generalità dei mezzi adoperati dagli stati esterni
all’Unione europea, cioè dalla generalità dei futuri competitori, era di fatto
preclusa da punti fermi non più modificabili. I quali peraltro, in dipendenza
delle preclusioni introdotte, indicavano l’unica strada rimasta libera, che
sarebbe stato quindi necessario percorrere, quella dell’indebitamento. Se esistono
fattori valorizzabili e non si dispone di risorse da investire, il ricorso
all’indebitamento è indispensabile per cogliere le occasioni favorevoli.
Potrebbero non più ripetersi.
Qualora il
sistema, nel suo funzionare in modo fisiologico non produca risorse, se ci si
preclude ogni possibilità di cogliere occasioni produttive, è la crescita a
essere ostacolata. All’indebitamento va fatto ricorso nel rispetto della “golden rule”.
L’investimento frutto dell’indebitamento deve, secondo una previsione ragionevole,
produrre profitti in misura superiore al suo costo. Diversamente si avrebbe
crescita del debito e del suo costo complessivo. I valori del 3 per cento per
l’indebitamento e del 60 per cento per il debito totale, riferiti al pil,
potevano basarsi, al tempo in cui furono adottati, sulla esperienza
pluridecennale di grandi economie (quella tedesca e anche quella degli Stati
Uniti). Furono approvati: 3 e 60 per cento costituivano il limite che avrebbe
garantito la “stabilità” della moneta e della economia.
Qui si
inserì la proposta della delegazione italiana, appoggiata dagli inglesi. Guido Carli, ministro del
Tesoro e capo della delegazione, la attribuisce nelle sue memorie
(“Cinquant’anni di vita italiana”, edizioni Laterza) alla propria “caparbietà”.
Non si potevano far dipendere le sorti di una economia dalle condizioni che
sarebbero state accertate in date prefissate. Avrebbero potuto essere
sconfessate dalla notte al mattino, potevano dipendere da cause eccezionali,
avrebbero potuto in ipotesi costituire il frutto di dati inesatti. Furono così
approvati tre emendamenti, due dei quali hanno formato oggetto degli alinea
della lett. a) del n. 2, l’altro della lett. b) dell’art. 104 c). Nella sua
redazione definitiva, l’art. 104 c), n. 2, ha stabilito che l’esame della
conformità alla disciplina di bilancio dovesse avvenire “sulla base” di due
criteri, di cui uno alle lett. a) e b) dello stesso n. 2. Ai due criteri
bisogna dunque attenersi nella interpretazione e applicazione dei valori di
riferimento. Negli emendamenti accolti si fa obbligo di tenere conto della
tendenza ad avvicinarsi al valore di riferimento e di eventuali cause
eccezionali o temporanee che potessero avere provocato il superamento.
Agli
architetti del sistema era stato attribuito il compito di realizzare a mezzo di
norme astratte una moneta corrispondente al marco, che garantisse ai paesi membri
e quindi all’Unione uno sviluppo duraturo, armonioso, sostenibile,
corrispondente a quello realizzatosi in Germania negli antecedenti quaranta
anni. Gli architetti si attennero al modello. Hanno assolto il compito
assegnato in modo puntuale. Disegnarono un progetto la cui attuazione avrebbe
potuto e dovuto garantire una crescita duratura e sostenibile. Protagonisti ne
sarebbero stati gli stati membri, vincolati all’obiettivo della crescita. Gli
stati avrebbero prodotto crescita nell’esercizio della più tipica espressione
della attività politica, la politica “economica”. Gli architetti erano
consapevoli che a favore della crescita, avrebbero concorso gli effetti
benefici di due fattori produttivi: l’abolizione fisica delle dogane, cui gli
studi preparatori avevano accreditato una influenza sulla crescita nella misura
dal 2 al 6 per cento a seconda della collocazione dello stato, e l’eliminazione
dei costi di transazione tra i paesi aderenti alla moneta comune, che a sua
volta avrebbe dovuto produrre un più 0,7 per cento ad anno nella crescita.
Si
aggiungeva ora il potere politico di indebitarsi sino ai limiti di cui al prot.
n. 6, da interpretarsi e applicarsi secondo i criteri vincolanti di cui
all’art. 104 c) Tue. Avrebbe
dovuto essere sufficiente.
Fin qui la disciplina formale della moneta. Il passo successivo consistette nel
prevedere una fase transitoria diretta a creare condizioni di sufficiente
omogeneità tra i paesi membri ammessi all’euro ed evitare che, avvenuto il
passaggio alla terza fase, quella “a regime”, i più forti prevalessero sui più
deboli. La disciplina della fase transitoria della omogeneizzazione è contenuta
nel protocollo n. 6. Furono assunte a riferimento le medie attinenti ai due
aspetti più rilevanti (tassi di inflazione, tassi dei titoli a lungo termine)
dei tre stati migliori. Sarebbero stati consentiti divari dal modello entro
margini prestabiliti (1,5 punti per il tasso di inflazione; 2 punti nel tasso
di interesse a lungo termine). Anteriormente al 1° luglio 1998 si sarebbe
tenuto uno scrutinio con il quale, nel rispetto di un’apposita procedura, si
sarebbero valutati i risultati raggiunti e sarebbero stati ammessi all’“euro” i
paesi che avessero soddisfatto le condizioni prescritte. Lo scrutinio si tenne
il 3 maggio 1998. Undici stati superarono lo scrutinio. Il dodicesimo (la
Spagna) fu inquadrato tra gli stati con deroga. Sarebbe stato ammesso tra
quelli senza deroga l’anno successivo.
L’espressione
“colpo di stato” viene usata quando si modifica in aspetti fondamentali il
sistema costituzionale di uno stato, con violazione delle norme costituzionali
vigenti. Il colpo di
stato viene attuato con maggiore frequenza con la forza. Nei tempi più antichi
uccidendo, anche con il veleno, il sovrano. Il 1° gennaio 1999 un colpo di
stato è stato effettuato in danno degli stati membri, dei loro cittadini, e
dell’Unione. Il “golpe” è stato realizzato non con la forza, ma con fraudolenta
astuzia. L’affermazione può apparire “stupefacente”. Obiettivamente lo è. La
assoluta incredulità è una reazione del tutto naturale e comprensibile.
Per la
dimostrazione occorre indicare:
a) quali sono i poteri costituzionali degli stati membri e quali
gli aspetti fondamentali del diritto dell’Unione che hanno formato oggetto del
“golpe”;
b) con quali atti il “golpe” è
stato realizzato e quali ne sono stati gli autori;
c) in cosa sono consistite le
astuzie fraudolente, alle quali si è fatto riferimento.
a1) Si risponde separatamente per gli
stati membri e per l’Unione. Il Tue non contempla alcuna procedura specifica
per le sue variazioni. In quanto Trattato multilaterale di diritto
internazionale, sarebbe stato un dovere dell’Unione che i suoi organi competenti
lo rispettassero e lo facessero rispettare. Non avrebbero dovuto consentire che
modifiche di aspetti fondamentali del sistema si producessero in assenza di un
nuovo Trattato. La disciplina introdotta con fraudolenza formò invece oggetto
di un regolamento previsto dal Trattato in funzione di un unico e specifico
compito. Adottare indirizzi di massima al fine del coordinamento delle
“politiche economiche” degli stati membri (artt. 102 A, 103, Tue). Il diritto
costituzionale degli stati membri è stato violato perché non sono state
osservate le norme costituzionali interne da osservarsi nella ratifica dei
Trattati. La sovranità degli stati membri è stata vulnerata perché è stata loro
sottratta la funzione “esclusiva” da esercitarsi, singolarmente e come gruppo,
di promuovere lo sviluppo dell’Ue e della zona euro con le proprie “politiche
economiche”. La costituzione degli stati è stata violata perché sono stati
imposti ai loro organi interni obblighi e condotte che i rispettivi ordinamenti
costituzionali non contemplano.
b1) Il golpe è stato attuato a mezzo del
regolamento 1466/97. Per la formazione del regolamento, come si è detto, si è
fatto ricorso alla procedura di cui agli artt. 103, n. 5 e 189 c) Tue che,
nello stesso momento in cui è stata utilizzata, è stata anche violata perché ce
se ne è avvalsi per uno scopo diverso dall’unico previsto. La procedura di cui
agli artt. 103, n. 5 e 189 c) Tue in nessun modo avrebbe potuto essere
impiegata per modificare norme fondamentali del Trattato. L’essersene avvalsi
configura una ipotesi non di semplice illegittimità, bensì di incompetenza
assoluta. Gli atti adottati sono di conseguenza non illegittimi, ma
nulli/inesistenti.
b2) Le persone fisiche, alle quali
far risalire l’attuazione del golpe e dei mezzi fraudolenti per realizzarlo
sono ignote. Non si conosce né chi ne sia stato l’ideatore, né il nome
dell’estensore materiale del testo del regolamento. Una inchiesta del
Parlamento europeo potrebbe ancora identificarli. La responsabilità formale del
“golpe” è dei membri della Commissione e dei titolari degli organi dell’Unione
e dei governi dei paesi membri che parteciparono in ciascuna delle fasi alla
procedura di formazione del regolamento 1466/97.
c1) Gli assetti fondamentali,
modificati illegalmente dal reg. 1466/97, sono diversi per l’Unione e per gli
stati membri. Quanto all’Unione è stato modificato, in modo radicale e
irreversibile, l’obiettivo principale, consistente (artt. 2 e 3 Tue) nel
conseguimento di uno sviluppo dalle caratteristiche e secondo le modalità
previste nei suddetti articoli e nell’aver abrogato, per avere regolato in modo
diverso la intera materia, l’art. 104 c) Tue, contenente la disciplina dei
mezzi di cui gli stati si sarebbero potuti avvalere per l’adempimento
all’obbligo di promuovere sviluppo.
Quanto agli stati, l’illecita variazione consiste nell’averli privati, con
l’abrogazione degli artt. 102 A, 103, 104 c) Tue, nonché di altri connessi, a
mezzo di norme (quelle del reg. 1466/97) regolanti in modo diverso l’intera
materia, degli unici poteri politici ad essa attribuiti in funzione alla
conduzione economica dell’Unione.
c2) Il reg. 1466/97 malgrado la
sua apparente innocenza, oltre a modificare la disciplina di vertice
dell’Unione e degli stati, ha inciso sul carattere fondamentale dell’Unione, in
assenza del quale gli stati non sarebbero stati legittimati a parteciparvi,
quello della “democraticità”. E’ l’affermazione che tra tutte genera la massima
incredulità.
Tutto ha
origine dal sospetto di alcuni degli stati più forti che qualcuno dei più
deboli, per superare lo scrutinio, si sarebbe avvalso di dati non
veritieri. E’
ipotizzabile che a ciò si debba l’origine del reg. 1466/97. Sarebbe stato il
rimedio ove effettivamente qualcuno degli stati membri fosse riuscito a superare
lo scrutinio senza averne il diritto. Il rimedio non avrebbe condotto alla
guarigione. Avrebbe prodotto danni gravi. Dimostratisi poi irreversibili.
Va aggiunto che a fine 1996 gli andamenti delle economie degli stati membri
suscitavano preoccupazioni. Il rapporto debito/pil negli stati principali era
cresciuto a un livello e con rapidità non previsti. Il debito francese
dall’iniziale 35 per cento in rapporto al pil era passato al 58,7 per cento,
quello tedesco dal 40 al 59,8 per cento, quello italiano dal 100,8 al 116.8 per
cento. Era stato preventivato che nella fase transitoria vi sarebbe stato un
rallentamento del pil. Ma si registrava un deterioramento superiore alle
previsioni. Si dubitò della effettiva capacità delle norme a realizzare gli obiettivi
assegnati, in particolare sulla effettiva corrispondenza della nuova moneta al
vecchio marco. Si pensò di superare ogni incertezza, rafforzando la
“stabilità”, assumendola a oggetto di un vincolo di carattere generale. A
maggior ragione la dimostrazione della soppressione del regime democratico
dovrà essere analitica e precisa nei dettagli. Riceverà conferma dagli effetti
concretamente prodottisi.
In cosa è
consistito il disegno “fraudolento” che ha portato alla approvazione del reg.
1466/97? La procedura
utilizzata non era stata mai impiegata e non avrebbe mai più potuto esserlo
nella sua portata originaria in quanto con il reg. 1466/97 sono state
cancellate le “politiche economiche” degli stati che della disciplina degli
artt. 102 A e 103 del Tue costituivano il presupposto.
La procedura del regolamento era iniziata nel novembre 1996. Il primo atto
pubblicato è apparso sulla Gazzetta ufficiale del 6 dicembre di quell’anno. A
quel tempo l’attenzione degli stati membri era concentrata sullo scrutinio di
ammissione all’euro, che avrebbe dovuto tenersi entro il 31 dicembre 1996 (art.
109 J). Era stato poi rinviato al 1998. La nuova moneta suscitava grandi
speranze. Non si prestò attenzione al reg. 1466/97. Era un atto che non
incideva sullo scrutinio. Riguardava il periodo successivo. Il testo ne
prevedeva l’entrata in vigore al 1° luglio 1998. Ce se ne sarebbe occupati
quando fosse venuto il suo tempo, sempre che si fosse superato lo scrutinio. Il
testo del regolamento era scritto in modo rassicurante. Prometteva (art. 3, n.
1) una crescita vigorosa, sostenibile e favorevole alla creazione di posti di
lavoro. A voler essere pignoli, il vigore era qualcosa di più e di diverso di
quanto l’art. 2 Tue esigeva e prometteva.
La procedura
del reg. 1466/97 si è chiusa con la deliberazione del Consiglio del 7 luglio
1997. Gli
stati partecipavano al Consiglio con un rappresentante a livello ministeriale
abilitato a impegnare il rispettivo governo (art. 146 Tue). Gli stati se
potevano essere giustificati per non avere prestato sufficiente attenzione al
testo del regolamento alla data, anteriore al novembre 1996, della prima
delibera del Consiglio, nel 1997 non avrebbero potuto disinteressarsi della
sorte che li attendeva una volta superato lo scrutinio. Non è avvenuto. E’
lecito il sospetto che vi abbia influito la sapiente scelta delle date.
L’adozione
del regolamento avvenne il 7 luglio 1997. Era il tempo in cui la Commissione
avrebbe cominciato a esaminare la documentazione presentata dagli stati ai fini
dello scrutinio. Il 25 marzo 1998 la Commissione formulò la proposta per
l’ammissione di undici stati sui dodici aspiranti. La Spagna sarebbe stata
rinviata all’anno successivo. Il Consiglio, nella composizione di capi di stato
o di governo, fece sua la proposta della Commissione. Il reg. 1466/97 fissava
(art. 13) esso stesso la data della sua entrata in vigore al 1° luglio 1998.
Per quale ragione se ne era richiesta l’adozione da parte degli stati prima che
venisse effettuato lo scrutinio e se ne conoscesse l’esito se il regolamento
avrebbe dovuto e potuto applicarsi solo agli stati ammessi?
“Caro stato membro – sembra sentire che la richiesta di adesione quasi
sussurrasse – se non firmi subito, il consenso all’ingresso nell’euro
potrebbe essere problematico”. Un ricatto frutto della casualità delle date o
intenzionale?
Alla base di
ogni moneta vi è sempre una disciplina giuridica. Può essere quella propria di
un regime di mercato, quella di un regime di stampo collettivista, o quella di
una economia mista. Queste tipologie, diverse tra loro, hanno un elemento in
comune. Alla gestione della moneta è sempre preposta una autorità politica
facente parte dell’organismo di vertice. Nei regimi di mercato l’autorità
politica è coadiuvata dal responsabile della Banca centrale. L’euro costituisce
il primo esempio di una moneta in cui, secondo la disciplina del Trattato,
vertici politici, pur partecipando alla gestione della moneta, non ne avrebbero
avuto la responsabilità esclusiva. Avrebbe avuto parte nella gestione e vi avrebbe
esercitato un ruolo dominante, una disciplina astratta. La specificità della
nuova moneta, l’euro, sarebbe stata desumibile dalla disciplina alla quale il
Tue l’assoggettava.
Il 1° gennaio 1999 è stata immessa
sui mercati la moneta disciplinata dal reg. 1466/97.Se si accerterà che la disciplina
del regolamento è diversa, anzi opposta rispetto a quella del Tue, bisognerà
concludere che l’euro circolante dal 1° gennaio 1999 è un’altra moneta rispetto
a quella del Trattato. Questa nuova moneta usa il nome e i simboli di quella
voluta dal Trattato. La moneta disciplinata dal Trattato è l’unica “autentica”.
Non essendo avvenuto il suo lancio né alla data stabilita, né in qualsiasi
altra successiva, l’“euro autentico” è una moneta mai nata. Quella che usurpa
il suo nome, e che è stata presentata come se fosse quella del Trattato e in
quanto tale accettata nei mercati, è una moneta falsa che, nascoste le proprie
natura e identità, si appropria di quelle dell’euro autentico.
di Giuseppe
Guarino
DA IL FOGLIO
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